I meccanismi di difesa: evoluzione storica e clinica di un costrutto sempre attuale


Il concetto di meccanismo di difesa può essere considerato uno dei principali contributi offerti dal modello psicoanalitico tanto che, lo stesso Sigmund Freud, che per primo introdusse il costrutto, lo definì come la pietra miliare su cui si fonda l’intero edificio della psicoanalisi.
Bisogna tuttavia rilevare che tale costrutto, pur mantenendo ancora una posizione centrale nel sistema psicoanalitico/psicodinamico, non registra un accordo comune circa la sua definizione. Pertanto, nel tentativo di fornire una rappresentazione consensuale di questo costrutto, è possibile far riferimento alle difese (stili difensivi) come a tutti quei processi psicologici (sentimenti, pensieri o comportamenti) tendenzialmente involontari, che si manifestano in risposta a percezioni di pericolo per il soggetto e sono finalizzati, in modo più o meno adattivo, a nascondere o alleviare i conflitti o gli agenti stressanti che danno origine ad ansietà o angoscia (Lingiardi & Madeddu, 2002).

Questa definizione permette di evidenziare alcuni degli elementi cardine condivisi dalla maggior parte gli autori che, da quando questo costrutto fu introdotto per la prima volta, si sono dovuti confrontare sulla sua natura. Prima di tutto, i meccanismi di difesa vengono riconosciuti come reazioni soggettive in risposta a tutte quelle realtà, interne ed esterne, in grado di generare conflitti o stress, allo scopo di allontanarle o ridurne l’impatto. In seconda istanza, le difese vengono definite come quegli strumenti attraverso i quali un individuo tende a gestire istinti, pulsioni ed affetti. Le difese possono poi essere classificate gerarchicamente, lungo un ipotetico continuum che procede da un estremo di immaturità/disadattamento ad uno opposto di maturità/adattamento.

In generale, le difese che vengono considerate primarie, immature o primitive sono quelle che implicano il confine tra il Sé e il mondo esterno. Quelle che sono ritenute secondarie, più evolute o mature hanno a che vedere invece con i confini interni, come quelli tra l’Io o il Super-Io e l’Es, o tra la parte dell’io che vive l’esperienza e quella capace di osservare. 

L’adattività di una difesa può essere definita invece sulla base di parametri quali la sua rigidità e pervasività, l’intensità del suo utilizzo e il contesto in cui si manifesta. I meccanismi di difesa sono anche descritti come generalmente, ma non necessariamente automatici; in linea di massima infatti, essi agiscono senza il bisogno di sforzi consci o di consapevolezza da parte dell’individuo, fatta eccezione per tutti quei meccanismi più adattivi o maturi per i quali, almeno secondo i contributi più recenti, si posso individuare sovrapposizioni o elementi di contatto con il costrutto, di derivazione cognitivista, di strategia di coping. I fenomeni ai quali ci riferiamo come difese hanno infatti molte funzioni positive manifestandosi come adattamenti sani e creativi quando fondamentalmente orientati alla gestione di qualche sentimento intenso e minaccioso, di un dolore insopportabile (o altre esperienze emotive disorganizzanti) o per il sostegno all’autostima. Di fatti vi è un comune accordo nel considerare le difese non solo come elementi che contraddistinguono i principali quadri psicopatologici ma, anche, come funzioni che denotano lo stile di comportamento, di pensiero e di azione di ogni individuo nella normalità della sua realtà quotidiana. 

In ultimo, i meccanismi di difesa si caratterizzano per essere soggettivi e personali; essi si manifestano in modo tipico e diverso nei singoli individui, i quali tendono sostanzialmente a ricorrere alle medesime strategie difensive per gestire ed affrontare situazioni tra loro simili. Il ricorso preferenziale e automatico a una particolare difesa o serie di difese è il risultato di un’interazione complessa tra almeno quattro fattori:
  1. Il temperamento costituzionale;
  2. La natura dei disagi subiti nella prima infanzia;
  3. Le difese presentate e a volte deliberatamente insegnate dai genitori e altre figure significative;
  4. Le conseguenze sperimentate dall’uso di particolari difese (effetti di rinforzo) (Mc Williams, 1994)

Tra i criteri cardine che la nosografia freudiana introduce nella classificazione delle patologie mentali vi è proprio quello di meccanismi di difesa, lo studio dei quali sposta progressivamente l’attenzione dalla dimensione biologica del conflitto alla dimensione dell’organizzazione strutturale della personalità, dove la relazione intrapsichica tra Es, Io e Super-io regola il funzionamento dell’adulto nel suo mondo relazionale. È nel 1894 che Freud descrive per la prima volta l’esistenza di queste operazioni inconsce alle quali, in origine, si riferisce con il termine di difese; già nel 1905 Freud introduce lo humor, la distorsione, lo spostamento, la rimozione, la repressione, la fantasia e l’isolamento come
meccanismi separati anche se in seguito, per circa vent’anni, il termine difesa tende a perdere le sue declinazioni specifiche, per essere sostituito dal più generico concetto di rimozione. Secondo Freud, la rimozione può essere distinta in rimozione primaria ed in rimozione secondaria. La prima svolge il compito di espellere e tener lontano qualcosa dalla coscienza; essa consiste nel fatto che alla rappresentazione psichica di una pulsione viene negata l’accettazione nella coscienza. La rimozione secondaria, invece, consiste in un processo difensivo che colpisce derivati psichici del materiale rimosso oppure processi di pensiero che, pur avendo una qualsiasi altra origine, vengono a mettersi in relazione associativa con esso. Questi derivati psichici o processi di pensiero subiscono lo stesso destino del materiale originario e vengono quindi allontanati dalla coscienza perché insostenibili per il soggetto. Pertanto, tutte le rimozioni si producono nella prima infanzia; sono misure difensive primitive di un Io debole e immaturo; negli anni successivi non si effettuano nuove rimozioni, ma le vecchie si conservano e l’Io continua ad avvalersi dei loro servigi, per padroneggiare le pulsioni. Nuovi conflitti vengono liquidati mediante ciò che è stato definito come post-rimozione (Freud, 1937). Il concetto di rimozione risulta quindi centrale nelle teorizzazioni di Freud, al punto che sarà oggetto, nel corso dei suoi studi, di diverse revisioni che condurranno ad una totale rivoluzione rispetto alla sua prima definizione. Infatti, originariamente Freud definisce la rimozione come quel meccanismo che consente all’Io di escludere dalla coscienza delle rappresentazioni del sistema inconscio non accettabili, provocando in questo modo una trasformazione chimica della libido (Lingiardi & Madeddu, 2002). Tale trasformazione induce lo sviluppo di angoscia che viene quindi concettualizzata come conseguenza della rimozione.
Il lavoro clinico porta presto Freud a pensare che le persone non siano affatto consapevoli dei propri meccanismi di difesa e provino angoscia quando questi stessi meccanismi vengono smascherati o ostacolati. Osservazioni di questo tipo spingono Freud (1925) a rivedere per intero il modello in questione e a proporre un’ipotesi molto diversa da quella precedente: i meccanismi di difesa sono processi attivati dall’Io quando un segnale di angoscia avverte della presenza di un pericolo proveniente dalla realtà esterna, dalle pulsioni dell’Es o dal Super-Io. L’angoscia è dunque la causa (e non l’esito) delle difese, che sono meccanismi inconsci e discreti che l’Io utilizza, in ottemperanza al principio di piacere, per evitare il verificarsi di un trauma. Secondo Freud (1925) infatti, una situazione di pericolo (allagamento pulsionale, perdita dell’oggetto e del suo amore, perdita del pene, perdita dell’amore del Super-Io e della benevolenza del fato) è una situazione la cui evoluzione prevedibile ha come esito il verificarsi di un trauma, definito come eccessivo e improvviso aumento di energia cui l’Io non riuscirebbe a fare fronte (Freud, 1937). I meccanismi di difesa sono dunque, in ultima analisi, stratagemmi volti a prevenire il verificarsi di una situazione traumatica. A Freud, comunque, era già chiaro che il rapporto tra segnali d’angoscia e risposta difensiva si giocasse su un equilibrio centrato sulla personalità, cioè sulla vita psichica interiore e sui suoi rapporti con il mondo esterno. La tenuta di questo equilibrio dipende dunque dall’intensità del segnale d’angoscia, dall’impatto sulla psiche del fattore angosciante o traumatico, dal grado di maturazione dell’organizzazione psichica nel suo complesso. 

Freud ha individuato e descritto un numero considerevole di meccanismi di difesa e, pur senza offrire mai una trattazione sistematica dell’argomento, ha ipotizzato delle correlazioni costanti fra difese, angosce, disagio psichico e fasi dello sviluppo psicosessuale (Lingiardi & Madeddu, 2002). “I meccanismi di difesa – scrive Freud (1937) – servono allo scopo di tenere lontano i pericoli. È incontestabile che raggiungono questo risultato e c’è da dubitare che l’Io possa, nel corso del suo sviluppo, rinunciare completamente ad essi; ma è altresì certo che questi stessi meccanismi possono trasformarsi in pericoli [...] Naturalmente l’individuo non utilizza tutti i possibili meccanismi di difesa, ma si limita a selezionarne alcuni; questi, però, si fissano nel suo Io, diventano abituali modalità di reazione del suo carattere che si ripetono nel corso dell’intera esistenza ogniqualvolta si presenta una situazione analoga a quella originaria. Così i meccanismi di difesa si trasformano in infantilismi e condividono il destino di tante istituzioni che tendono a conservarsi al di là dell’epoca in cui si sono rivelate utili”.

Con la sua opera “L’Io e i meccanismi di difesa” (1936), Anna Freud imprime un radicale cambio di approccio nello studio dei meccanismi di difesa. In precedenza essi venivano considerati principalmente degli ostacoli che l’analista incontra nel paziente e che deve
cercare di superare, allo scopo di scoprire e capire i desideri inconsci che, tramite essi, il
soggetto tenta di nascondere. Sigmund Freud, inoltre, inseriva il concetto di meccanismo di difesa all’interno di un campo ristretto alla psicopatologia ed all’intrasoggettività del paziente, identificando le difese con fenomeni tipicamente patologici che si manifestano nell’interiorità dell’individuo. Anna Freud contribuisce, all’opposto, a dare maggiore enfasi all’aspetto adattivo dei meccanismi di difesa e alla loro fondamentale e diretta relazione con la realtà esterna (tutti i meccanismi di difesa sono al tempo stesso al servizio della limitazione interna delle pulsioni e dell’adattamento esterno). Anna Freud considera i meccanismi di difesa come specifici procedimenti inconsci dell’Io, che non possono essere semplicemente definiti come entità separate ed agenti in opposizione agli istinti; al contrario, i meccanismi di difesa si formano partendo dagli istinti e possono essere considerati a tutti gli effetti dei loro derivati. All’analista non viene quindi più richiesto di scoprire che cosa intimorisce il paziente o da cosa egli sta sfuggendo, bensì di analizzare come il paziente si comporta quando si sente spaventato o in difficoltà. L’autrice propone un elenco di meccanismi di difesa che comprende quelli già esposti dal padre (regressione, rimozione, formazione reattiva, isolamento, annullamento retroattivo, proiezione, introiezione, rivolgimento contro se stessi, trasformazione nel contrario) ed alcuni nuovi meccanismi (sublimazione, identificazione con l’aggressore, altruismo). Secondo la Freud tale lista raggruppa sia meccanismi di difesa semplici che complessi; questi ultimi in particolare, sono il risultato di una combinazione di diversi meccanismi semplici che agiscono in concerto e in sinergia. I meccanismi di difesa sono specifici meccanismi operativi, che tengono lontano dalla coscienza contenuti spiacevoli e desideri pulsionali non egosintonici. La Freud li definisce come quei mezzi attraverso i quali l’Io evita le spiacevolezze e l’ansia, ed esercita un controllo sui comportamenti impulsivi, sugli affetti e sugli impulsi istintivi”. Essi agiscono nello stesso tempo al servizio della limitazione interna delle pulsioni e dell’adattamento esterno (1965). Secondo Anna Freud tutte le difese possono essere ordinate lungo una linea evolutivo-maturativa

L’adeguatezza e l’adattività di un determinato meccanismo in un determinato individuo possono essere valutate sulla base di quattro importanti criteri:

- INTENSITÀ, ossia proporzione quantitativa di impiego di una difesa;
- ADEGUATEZZA RISPETTO ALL’ETÀ, ossia prematurità, fissazione o regressione del
meccanismo;
- REVERSIBILITÀ, ossia abilità dell’individuo nel disattivare la difesa quando cessa di
essere funzionale;
- EQUILIBRIO TRA LE DIFESE, ossia utilizzazione da parte dell’individuo di un alto
numero di difese o loro impiego in numero ristretto e in modo rigido.
In questo modo, Anna Freud introduce e indaga l’esistenza di una possibile correlazione tra difese utilizzate dal soggetto e lo stato di salute dell’Io di quest’ultimo. 

Le prime radicali modificazioni del modello freudiano sono state invece proposte dalla scuola britannica, a cominciare da Melanie Klein. L’elemento più innovativo è stato rappresentato da un interesse per i meccanismi primitivi di difesa, cioè quei meccanismi legati in modo particolarmente stretto agli stati psicotici (Klein, 1927, 1946). Inoltre, una delle eredità fondamentali della riflessione kleiniana è l’osservazione per cui le difese non si limitano a proteggere l’Io da sentimenti dolorosi, ma rappresentano anche principi organizzativi della vita psichica. La Klein definisce psicotici quei meccanismi primitivi che vengono impiegati contro le angosce derivanti dall’attività dell’istinto di morte; come tali, essi sono da contrapporre alle difese nevrotiche, in particolare la rimozione, che agiscono contro la libido. I meccanismi di difesa primitivi determinano le caratteristiche delle posizioni psicotiche e comprendono il diniego, la scissione, le forme estreme di proiezione e introiezione, le identificazioni connesse a queste difese e l’idealizzazione. Se è vero che la maggior parte di questi meccanismi era già stata descritta dagli psicoanalisti
precedenti, la Klein ha dato loro un’importanza particolare, indicandoli come caratteristici delle prime fasi dello sviluppo e dando quindi un diverso spessore a un periodo della vita infantile fino ad allora considerato come la fase del narcisismo primario priva di oggetto. Per quanto la Klein (1930) abbia distinto le difese psicologiche in nevrotiche e psicotiche,
di fatto si è occupata quasi unicamente delle seconde. 

A partire dagli anni 70, un’altra figura di spicco nell’ambito dello studio dei meccanismi di difesa, Otto Kernberg, si propone come punto di incontro e di sintesi di diverse teorie sulle difese: quella freudiana, quella kleiniana e quella della psicologia dell’Io. Secondo Kernberg i meccanismi di difesa possono essere definiti come fenomeni intrapsichici, volti a governare tutti quei conflitti interiori che coinvolgono al loro interno diverse componenti del soggetto, tra cui, in particolare, il concetto di Sé e le relazioni oggettuali interiorizzate. Kernberg basa tutti i suoi approfondimenti sui meccanismi di difesa su una concezione delle difese come disposte lungo un ipotetico continuum gerarchico ed evolutivo, di gravità: i pazienti più gravi sono pertanto quelli che persistono nell’uso di meccanismi patologici che risultavano tipici e fisiologici nel corso di fasi molto precoci dello sviluppo psichico. In particolare Kernberg identifica l’esistenza di due tipologie principali di difese: le difese di alto livello e quelle di basso livello. Le prime hanno lo scopo di proteggere l’Io da conflitti intrapsichici, respingendo un derivato pulsionale o la sua rappresentazione, o entrambi, dall’io cosciente (1984). Esse comprendono la rimozione, la formazione reattiva, l’isolamento, l’annullamento retroattivo, l’intellettualizzazione e la razionalizzazione. Secondo Kernberg le difese di alto livello possono essere utilizzate solo in un periodo avanzato dello sviluppo, da un soggetto che abbia un Io più maturo e che si posizioni almeno nella fase edipica dell’evoluzione psicosessuale. I meccanismi di basso livello, invece, proteggono l’Io attraverso la dissociazione, vale a dire tenendo attivamente separate esperienze contraddittorie del Sé e delle altre persone significative (1984). Questi ultimi corrispondono alla scissione, alla proiezione, all’onnipotenza, alla svalutazione, all’idealizzazione primitiva, all’identificazione proiettiva e al diniego. Le difese di basso livello vengono utilizzate principalmente e in modo predominante durante il periodo preedipico (dai sei mesi ai tre anni). Esistono poi delle difese che, al loro interno, evolvono e si sviluppano da una modalità di manifestazione più primitiva ad una forma più matura: è il caso dell’identificazione proiettiva, che corrisponde ad una forma primitiva di proiezione; o anche del diniego, considerato non un unico meccanismo di difesa, ma un gruppo di operazioni difensive che sono correlate nella loro modalità più precoce al meccanismo della scissione, mentre, nelle loro forme più evolute, si manifestano come isolamento, negazione minore o altre difese contro gli affetti (1975). Kernberg evidenzia però la possibilità che il soggetto, pur procedendo nella propria evoluzione fisiologica e cronologica, non dimostri un corrispondente adeguato sviluppo dei meccanismi di difesa; in questo caso, Kernberg riscontra una persistenza patologica delle difese primitive. Una condizione del genere contribuisce, secondo Kernberg, alla formazione di una ben definita entità, ovvero alla strutturazione di una organizzazione borderline di personalità (1976). In particolare nei pazienti borderline, l’uso di questi meccanismi primitivi è da far risalire alla debolezza che contraddistingue l’Io di questi soggetti e, contemporaneamente, contribuisce a un ulteriore e progressivo indebolimento del loro Io. Come abbiamo visto, la valutazione dei meccanismi di difesa risulta essere per Kernberg un utile criterio per la determinazione della diagnosi dei suoi pazienti e per la programmazione di un adeguato piano di trattamento. Accanto alle difese, hanno valenza di criterio diagnostico anche il grado di integrazione versus diffusione dell’identità e l’integrità dell’esame di realtà. In funzione di queste tre dimensioni Kernberg riconosce l’esistenza di tre differenti organizzazioni di personalità: quella borderline, quella nevrotica e quella psicotica. Il concetto di organizzazione di personalità si riferisce alla totalità della struttura della personalità dell’individuo e non solo ad un suo eventuale aspetto psicopatologico; Kernberg infatti afferma che l’organizzazione strutturale della personalità assolve la funzione di stabilizzare l’apparato psichico, mediando tra i fattori eziologici e le dirette manifestazioni della malattia nel comportamento e che indipendentemente da quali siano i fattori genetici, costituzionali, biochimici, familiari, psicodinamici e psicosociali che concorrono nel dare origine alla malattia, gli effetti di tutti questi fattori vanno a confluire nella struttura psichica individuale che poi diventa la matrice da cui si sviluppano i sintomi osservabili nel comportamento (Kernberg, 1984). 

Alcuni autori si distinguono da quelli appena citati per aver determinato un drastico cambiamento di rotta nell’ambito dello studio dei meccanismi di difesa. Le loro ricerche infatti si pongono come obiettivo l’operazionalizzazione del costrutto di meccanismo di difesa, l’elaborazione di strumenti psicometricamente validi per la sua misurazione e la conseguente verifica empirica delle formulazioni teoriche degli autori di formazione psicodinamica (ad esempio, quelle relative alla loro classificazione gerarchica, alla presenza di una linea evolutiva nel loro sviluppo, al potenziale adattativo delle difese più mature, alle connessioni con la psicopatologia, ecc.). Secondo Vaillant i meccanismi di difesa sono dei processi che entrano in azione nel soggetto in relazione ad un conflitto psichico che può manifestarsi in seguito a turbamenti provenienti da diverse realtà: i bisogni istintuali (Es), il mondo esterno, la coscienza morale e l’eredità culturale (Super Io) e, in ultimo, le relazioni con altri significativi. Uno sconvolgimento in questi campi può destabilizzare l’equilibrio psichico ed emotivo dell’individuo; i meccanismi di difesa sono appunto uno strumento attraverso cui cercare il contenimento del dolore psichico derivante da queste perturbazioni, la riduzione dell’ansia affinché sia tollerabile e un recupero dell’equilibrio perduto attraverso differenti modalità (quali, ad esempio, il differimento nel tempo e la riduzione delle pulsioni istintuali). Tali strumenti di cui si serve l’individuo, secondo Vaillant, non corrispondono a dei meri fenomeni intrapsichici, discreti e di breve durata, ma sono processi che pervadono l’intera realtà del soggetto e, proprio per questo, possono essere indagati tramite l’osservazione dello stile di vita individuale (1987). Anche Vaillant, come Anna Freud, classifica i diversi meccanismi di difesa secondo un ordine gerarchico, concettualizzandoli come disposti lungo un continuum che ha per estremi sia la dimensione maturità-immaturità, sia la dimensione malattia-salute mentale. Egli sottolinea quindi l’importanza dell’aspetto evolutivo nella classificazione dei meccanismi di difesa, proponendo una gerarchia fondata in prima istanza sull’ordine con cui, nello sviluppo individuale, le differenti strategie difensive fanno la loro comparsa; tale criterio di classificazione, secondo Vaillant, è però intrinsecamente correlato ad un’altra fondamentale dimensione: il livello di patologia del meccanismo di difesa. Due sono quindi le dimensioni che formano il continuum lungo il quale si dispongono i diversi meccanismi di difesa: immaturità-maturità, e quindi il livello di sviluppo del soggetto, e psicopatologia-salute mentale, e quindi il livello di gravità della psicopatologia. Vaillant (1977, 1992) afferma che al gradino più basso di questo continuum si dispongono le difese narcisistiche (secondo il livello di sviluppo), dette anche psicotiche (secondo la gravità della psicopatologia); quindi, procedendo lungo il polo opposto del continuum, si trovano le difese immature (secondo il livello di sviluppo), le difese nevrotiche (secondo la gravità delle psicopatologia) e, in ultimo, le difese mature (secondo il livello di sviluppo). I meccanismi di difesa, secondo Vaillant, possono quindi essere classificati nel seguente modo:

- LIVELLO 1. DIFESE NARCISISTICHE-PSICOTICHE: proiezione delirante, diniego psicotico,
distorsione della realtà esterna.
- LIVELLO 2. DIFESE IMMATURE: proiezione, fantasia schizoide, ipocondriasi,
comportamento passivo-aggressivo, acting out, dissociazione.
- LIVELLO 3. DIFESE NEVROTICHE: isolamento/intellettualizzazione, rimozione,
spostamento, formazione reattiva.
- LIVELLO 4. DIFESE MATURE: altruismo, umorismo, repressione, anticipazione,
sublimazione. 

Come accennato, questi quattro livelli sottintendono l’assunto secondo cui la crescita dell’essere umano è accompagnata dall’evoluzione delle sue strategie difensive attraverso il passaggio progressivo dalle difese di primo livello a quelle di quarto livello (Vaillant, 1977). Il contributo più rilevante della classificazione gerarchica proposta da Vaillant è quello di aver esteso e ampliato il concetto di difesa enfatizzando tanto il suo potenziale patogeno quanto quello adattivo e, in ultima analisi, creativo.
L’obiettivo delle difese, secondo Vaillant, va ben oltre la riduzione della tensione e il ripristino dello status quo e spesso esse possono contribuire al raggiungimento di elevati standard di funzionamento sociale. Gran parte delle riflessioni di Vaillant sulla funzione adattiva dei meccanismi di difesa deriva dai risultati delle sue ricerche longitudinali che hanno chiaramente dimostrato come esista una significativa associazione tra l’uso di meccanismi difensivi maturi e il livello di adattamento in molti domini dell’esistenza, quali ad esempio il funzionamento sociale, lavorativo, relazionale, affettivo, la salute fisica e psichica, il livello di soddisfazione soggettivo in varie aree della vita. Un tale approccio ha considerevolmente stimolato la ricerca verso l’elaborazione di una gerarchia dei meccanismi di difesa che tenesse in debito conto tanto la dimensione cronologica, quanto quella evolutiva e quella adattiva; inoltre, la rilevanza delle possibili applicazioni di questo approccio in termini diagnostici è stata ampiamente riconosciuta attraverso l’inserimento di un apposito asse per la valutazione delle difese nel DSM IV. Il problema che caratterizza questa gerarchia di difese è tuttavia il continuo slittamento che si osserva dalla dimensione cronologico-evolutiva a quella psicopatologica che potrebbe condurre a confusione e ambiguità; ciò è plausibilmente riconducibile all’impossibilità di poter stabilire se l’uso di un determinato meccanismo difensivo sia in sé adattivo o disadattivo, normale o patologico (Vaillant, 1977). 

Nel valutare la significatività clinica di una difesa è necessario considerare la sua flessibilità e il contesto. Se una difesa è utilizzata in maniera rigida, se la sua attivazione è motivata più da bisogni passati che non dalla realtà presente o futura, se distorce significativamente la realtà, se annulla piuttosto che limitare la gratificazione, se impedisce piuttosto che incanalare l’espressione dei sentimenti, allora è plausibilmente una difesa maladattiva (Vaillant, 1977). Allo stesso tempo, anche il contesto acquista rilievo per cui difese che solitamente possono definirsi patologiche acquistano, in specifiche fasi del ciclo di vita, un valore adattivo e funzionale (Vaillant, 1992). la classificazione esposta da Vaillant è sempre stata riconosciuta come molto valida, tanto che altri autori attualmente impegnati nell’area dell’assessment delle difese ne hanno fatto il punto di partenza per le proprie teorizzazioni.

Perry ha esaminato le difese dal punto di vista della del conflitto psichico, definendole come un meccanismo che media tra i desideri, le necessità, gli affetti e gli impulsi del soggetto da un lato, e le proibizioni interiorizzate e la realtà esterna dall’altro. (Perry & Cooper, 1986). A meccanismi prettamente intrapsichici, quali erano le prime difese individuate da Freud (rimozione, isolamento, spostamento, ecc.), l’autore affianca meccanismi difensivi che agiscono prevalentemente sull’ambiente e/o sugli altri, inducendoli a porsi come sostegno dell’Io nell’affrontarne i bisogni (vedi per esempio l’ipocondriasi) o che comunque appaiono più come modalità di relazionarsi (per esempio l’aggressione passiva) che come veri e propri processi intrapsichici. Tale apertura può rivelarsi di grande importanza nel convalidare diagnosi differenziali tra i disturbi psicotici, dove spesso assistiamo ad un perdersi nel mondo psichico e quindi all’uso di meccanismi difensivi molto primitivi, i disturbi di personalità, dove vengono usate prevalentemente difese che agiscono sull’ambiente e sugli altri individui, a conferma di una parziale esclusione della realtà intrapsichica, cortocircuitata a favore dell’agire, e i disturbi nevrotici dove invece prevale l’uso dei classici meccanismi intrapsichici individuati da Freud (Lingiardi & Madeddu, 2002). Lo strumento elaborato da Perry (1990; 1991) appare particolarmente curato, puntuale e rigoroso sia sul piano concettuale che su quello metodologico, e viene proposto come una guida che cerca, per quanto possibile, di fornire una base comune in grado di motivare le valutazioni in modo tale da ridurre al minimo la loro soggettività e aumentare il più possibile l’attendibilità delle osservazioni raccolte.
La gerarchia proposta da Perry è composta da diversi raggruppamenti di difese che si
dispongono lungo un continuum di immaturità/non adattività - maturità/adattività dei
meccanismi stessi. 

Essa si articola nei seguenti 8 livelli:
- LIVELLO 0: CATTIVA O MANCATA REGOLAZIONE DIFENSIVA. Corrisponde ad una
situazione di totale fallimento della regolazione difensiva. Di fronte ai diversi agenti stressanti, il soggetto tende a reagire in modo da causare una drastica rottura con la realtà comunemente condivisa. Appartengono a questo livello difese come diniego psicotico, distorsione psicotica, proiezione delirante.
- LIVELLO 1: ACTING. Corrisponde ad una situazione in cui l’individuo tende ad affrontare gli stress interni ed esterni o attraverso il ritiro dalla realtà o attraverso l’azione, ma comunque senza tenere in debita considerazione le conseguenze a cui la sua reazione può condurre. Appartengono a questo livello difese come acting out, aggressione passiva, help-reject complaining (ipocondriasi o ritiro nell’apatia).
- LIVELLO 2: DISTORSIONE MAGGIORE DELL’IMMAGINE O DIFESE BORDERLINE. Corrisponde ad una situazione di evidente distorsione ed errata attribuzione dell’immagine di sé e degli altri, al fine di sostenere un senso del Sé coerente e di sfuggire la frammentazione. Appartengono a questo livello difese come identificazione proiettiva, scissione dell’immagine del Sé o degli altri.
- LIVELLO 3: DINIEGO. Corrisponde a una situazione di esclusione dalla coscienza delle realtà stressanti, troppo spiacevoli o comunque inaccettabili per il soggetto, accompagnata o meno da una loro attribuzione sbagliata ad agenti esterni. Appartengono a questo livello difese come: diniego o negazione di sé, proiezione, razionalizzazione. Sempre in tale livello viene compresa anche la fantasia schizoide.
- LIVELLO 4: DISTORSIONE MINORE DELL’IMMAGINE O DIFESE NARCISISTICHE. Corrisponde a una situazione di distorsione non totale e non completa dell’immagine di sé o degli altri, allo scopo di regolare la propria autostima. Appartengono a questo livello difese come idealizzazione, onnipotenza, svalutazione.
- LIVELLO 5: INIBIZIONE MENTALE O ALTRE DIFESE NEVROTICHE. Corrisponde a una situazione in cui il soggetto tende a togliere dalla consapevolezza conflitti ed eventi stressanti, con manifestazione o meno di sintomi. Le realtà allontanate dalla consapevolezza possono essere modificate. Appartengono a questo livello difese come rimozione, dissociazione, formazione reattiva, spostamento.
- LIVELLO 6: INIBIZIONE MENTALE O DIFESE OSSESSIVE. Corrisponde a una situazione che
permette di lasciare inalterata l’idea, la rappresentazione, intervenendo invece sull’affetto ad essa legato. Esso viene neutralizzato o diminuito, senza modificare la realtà. Appartengono a questo livello difese come annullamento retroattivo, intellettualizzazione, isolamento affettivo.
- LIVELLO 7: DIFESE MATURE. Corrisponde a una situazione di adattamento e di ottimali capacità di gestione delle realtà stressanti. Contiene meccanismi che consentono la gratificazione, la consapevolezza dei sentimenti, delle idee e dei loro effetti, contribuendo a creare un equilibrio tra i diversi motivi di conflitto. Appartengono a questo livello difese come affiliazione, altruismo, anticipazione, autoaffermazione, autosservazione, repressione, sublimazione, umorismo. 
Sulla base di questa classificazione e della ricca letteratura che essa stessa ha stimolato, Perry giunge alla costruzione di una scala di valutazione del funzionamento difensivo (la Defensive Functioning Scale, DFS, Perry, 1993), da inserire come ulteriore asse psicodinamico all’interno del DSM IV (A.P.A., 1994), sottolineando l’importanza della valutazione dei meccanismi di difesa dell’individuo per una comprensione più ampia del disagio mentale. 

Nel DSM IV, con l’introduzione della DFS, si è giunti alla formazione di un asse aggiuntivo che permetta, prima di tutto, di aggiungere importanti informazioni dinamiche all’impronta tipicamente descrittiva del manuale. Inoltre, esso provvede a mettere in luce nuovi e non ridondanti aspetti oltre a quelli che già il DSM sottolinea circa la sintomatologia, la psicopatologia e la storia di vita del soggetto. La DFS definisce le difese come processi psicologici automatici che proteggono l’individuo dall’angoscia e dalla consapevolezza di pericoli o fattori stressanti interni o esterni; essi, sempre in accordo con la definizione fornita dalla DFS, mediano le reazioni dell’individuo nei confronti dei conflitti emozionali e dei fattori stressanti interni ed esterni. La Defensive Functioning Scale comprende un elenco di difese, organizzato in diversi cluster, chiamati Livelli Difensivi; al loro interno vengono raggruppati diversi meccanismi di difesa, che risultano tra loro affini dal punto di vista concettuale. Abbiamo così la presentazione di sette differenti livelli difensivi, articolati nel modo seguente:
- 7: LIVELLO ALTAMENTE ADATTIVO. Consente un buon adattamento e un efficiente controllo dei fattori stressanti, un’ottima gratificazione e il mantenimento della consapevolezza di sentimenti, idee e loro effetti, permettendo lo stabilirsi di un buon equilibrio. Comprende: affiliazione, altruismo, anticipazione, autosservazione, humor, repressione, sublimazione.
- 6: LIVELLO DELLE INIBIZIONI MENTALI O FORMAZIONI DI COMPROMESSO. Consente di tenere fuori dalla coscienza tutte quelle realtà (affetti, desideri, ricordi) che possono risultare pericolose per il soggetto. Comprende: annullamento, dissociazione, formazione reattiva, intellettualizzazione, isolamento dell’affetto, rimozione, spostamento.
- 5: LIVELLO MINORE DI DISTORSIONE DELL’IMMAGINE. Consiste nella distorsione operata dal soggetto nei confronti dell’immagine di se stesso, del proprio corpo o degli altri, allo scopo di regolare la propria autostima. Comprende: idealizzazione, onnipotenza, svalutazione.
- 4: LIVELLO DEL DISCONOSCIMENTO. Consente all’individuo di tener fuori dalla
coscienza tutte quelle realtà (impulsi, affetti, idee) che risultino sgradevoli o inaccettabili al soggetto, attribuendone, però, le cause a fattori esterni all’individuo. Comprende: negazione, proiezione, razionalizzazione.
- 3: LIVELLO MAGGIORE DI DISTORSIONE DELL’IMMAGINE. Consiste nella profonda distorsione o nella sbagliata attribuzione dell’immagine di sé o di quella altrui. Comprende: fantasia autistica, identificazione proiettiva, scissione dell’immagine di sé o degli altri.
- 2: LIVELLO DELL’AZIONE. Consente al soggetto di far fronte agli aspetti stressanti della
realtà, sia interni che esterni, attraverso l’azione o il totale ritiro da essa. Comprende:
acting out, aggressione passiva, ipocondriasi, ritiro apatico.
- 1: LIVELLO DELLA DISREGOLAZIONE DIFENSIVA. Consiste nella totale caduta dell’organizzazione difensiva, a cui segue una profonda rottura del rapporto che il soggetto manteneva con la realtà oggettiva. Comprende: distorsione psicotica, negazione psicotica, proiezione delirante.

Le definizioni fin qui proposte hanno rappresentato un contributo molto importante nella
storia della valutazione dei meccanismi di difesa perché, hanno costituito il terreno comune cui molti autori si sono rivolti per elaborare strumenti e tecniche di assessment dei meccanismi di difesa stessi (Lingiardi & Madeddu, 2002).


Dott. Nicola Walter Strisciulli


Gabbard G. O. 2005 Psichiatria psicodinamica – Quarta e dizione - Milano, Raffaello Cortina Editore, 2007

Jones E. E. 2000 L’azione terapeutica. Una guida alla terapia psicoanalitica , Milano, Raffaello Cortina Editore , 2008

Lingiardi, V., Madeddu, F. 2002 I meccanismi di difesa. Teoria, valutazione, clinica –Milano: Raffaello Cortina Editore, 2013

Mc Williams N. 1994 La diagnosi psicoanalitica, Roma, Astrolabio, 1999

White R. B. Gilliland R. M. 1975 I meccanismi di difesa, Roma, Astrolabio, 1977




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