Il processo analitico: cos'è e come agisce

Il processo analitico: il setting, l'analisi del transfert, l'attività interpretativa

Con il costrutto “processo analitico” faremo riferimento a quell’insieme di obiettivi, strategie e tecniche promosse dal terapeuta di orientamento psicoanalitico – psicodinamico e che costituiscono il nucleo della sua azione terapeutica. La metodologia alla base dell’azione terapeutica analiticamente orientata affonda le proprie radici in una rappresentazione della struttura della mente e del suo funzionamento storicamente consolidata ma, al contempo, ancora in evoluzione e suscettibile dei contributi contemporanei: “la validità del processo analitico discende dal grado in cui esso è determinato dalla struttura della mente … la struttura della mente da una parte e la natura del processo analitico dall’altra … il secondo è il prodotto naturale della prima.” (Meltzer, 1967). Sebbene i fondamenti della teoria e della teoria della tecnica psicoanalitica siano stati resi chiari da Freud e siano cambiati assai poco da allora, i successivi sviluppi del sistema rendono conto della mancanza di una definizione univoca del processo analitico e delle variazioni rilevabili all’interno di una cornice
di riferimento identificabile come metodo psicoanalitico. “Di fronte al pluralismo dei modelli psicoanalitici e psicoterapeutici, non ha più senso pensare all’azione terapeutica come a una modalità unica , buona per ogni occasione clinica. Ciò che occorre è una teoria delle azioni terapeutiche che ci aiuti a capire cosa cambia (gli obiettivi del trattamento) e quali strategie si rivelano più utili nel favorire questi cambiamenti (le tecniche del trattamento)” (Jones, 2000). Fatte salve tali considerazioni preliminari identificheremo nella creazione della situazione analitica (setting) e nell’elaborazione analitica (analisi del transfert, attività interpretativa) gli elementi che sembrano costituire il minimo comun denominatore del processo analitico nell’ampio panorama della concettualizzazione psicoanalitica, identificando così una direttrice che consideri il processo analitico come un “divenire temporale di eventi concatenati i quali tendono a uno stato finale con l’intervento dell’analista” (Etchegoyen, 1986).

Il setting analitico
La situazione analitica è definibile come quel luogo, spazio senza tempo, dove si stabilisce la relazione tra terapeuta e paziente finalizzata al compimento di un dato lavoro. Il concetto di setting deriva dalla situazione analitica. Esso, è l’ambito in cui si situano le norme che rendono possibile il lavoro analitico. Tali norme provengono dalla psicoanalisi e dalle teorie dello psicoterapeuta e sorgono da un accordo tra le parti che costituisce il contratto analitico. Il setting è il dispositivo fondamentale che fa si che il lavoro analitico si sviluppi attraverso il tempo, configurando e mantenendo il processo analitico. Dunque, affinché il processo analitico si sviluppi, è necessario un setting che lo contenga (Etchegoyen,1986). Poiché la relazione e il processo analitico sono in stretto rapporto con le funzioni del setting, l’eventuale variazione di un singolo elemento del setting, induce cambiamenti nella relazione con effetti a livello transferale e controtransferale e sul processo analitico. Gli elementi invarianti del setting, la stanza, l’orario, la
frequenza delle sedute, il pagamento, la programmazione delle pause, il ruolo dell’analista, ecc. si configurano come un dispositivo stabilizzante per il paziente. Il setting infatti struttura e contiene la relazione e per alcuni pazienti, il fatto di strutturare e di mantenere il setting può essere più importante del lavoro interpretativo. Il setting è uno spazio depositario delle angosce primarie evocate dalla relazione affettiva, consente al paziente la possibilità di costruire uno spazio mentale attraverso un gioco di rimandi e di significati che derivano dalla relazione transferale, per favorire l'avvio o il ripristino dei processi di elaborazione degli elementi inconsci. Bisogna rilevare inoltre che una dimensione da considerarsi centrale nella concettualizzazione della situazione analitica prende spunto dalle teorizzazioni di Winnicott il quale ha usato per primo il termine setting in un’accezione che rimanda non solo alle condizioni esterne (contesto ambientale, aspetti spazio-temporali e sociali) ma, soprattutto, al contesto relazionale definito in base all’assetto mentale che caratterizza lo psichismo dell'analista: tale atteggiamento mentale (ovvero quella dimensione interiore di onestà e correttezza grazie alla quale il terapeuta preserva il paziente dalle conseguenze di azioni, stimoli che posso pregiudicare il processo analitico e la persona del paziente) diventa lo strumento di conduzione del rapporto terapeutico. Il setting dunque può essere inteso, nel suo complesso, come un dispositivo mentale che contiene l’insieme delle modalità e il senso dei rapporti che il terapeuta struttura con il paziente nelle sue componenti normative ( regole del setting) e relazionali (assetto mentale dell’analista).

L'analisi del transfert
L’elaborazione analitica, nelle sue dimensioni di evoluzione e analisi del transfert è di attività interpretativa di resistenze e difese - nonostante gli interrogativi relativi alle modalità relazionali più efficaci nella dinamica terapeutica, al focus sull’interazione hic et nunc piuttosto che sul riprodursi di desideri, modelli e fantasie del passato nelle reazioni del paziente o alla centralizzazione di costrutti come quello di “esperienza emozionale correttiva” (Alexander e altri, 1946) - si conferma come un elemento comune fra le scuole psicoanalitiche a dispetto delle molte differenze teoriche esistenti. Sebbene infatti, nelle finalità del trattamento analitico contemporaneo si perseguano obiettivi molteplici rispetto al solo insight come, ad esempio, una maggiore coesione del Sé (Psicologia del Sé di Kohut), la modifica
delle convinzioni inconsce patogene (control-mastery theory di Weiss e Sampson), un attaccamento più sicuro (teoria dell’attaccamento di Bowlby), l’esorcizzazione degli oggetti cattivi interiorizzati e la loro sostituzione con oggetti buoni (la teoria delle relazioni oggettuali di Melania Klein, Anna Freud, Winnicot, Fairbairn ecc.) e, in linea generale, la sostituzione di schemi cognitivo - affettivi disadattivi con rappresentazioni più adattive, sembra esistere un sostanziale accordo all’interno della comunità psicoanalitica nel considerare le interpretazioni di transfert, resistenze e difese come le principali leve del cambiamento terapeutico.
Inizialmente il transfert è stato concettualizzato come una distorsione da parte del paziente della reale natura del terapeuta; distorsione che si pensava causata da desideri, rappresentazioni mentali, reazioni emotive, fantasie o esperienze passate del paziente. Successivamente, il transfert è stato concepito come una costruzione plausibile di un qualcosa di reale sul terapeuta o sulla natura dell’interazione, che riflette una ripetizione dei conflitti del paziente. Più recentemente si tende a considerare il transfert come una co-costruzione di paziente e terapeuta , vale a dire un fenomeno interattivo a cui prendono parte entrambi. Freud (1912) considerava il transfert una forma di ripetizione in cui il paziente, anziché ricordare agisce inconsciamente. I sentimenti e le reazioni nei confronti del terapeuta erano considerati come rappresentativi dei conflitti, principalmente dei desideri del paziente. L’aspetto del transfert che Freud sottolineava era la distorsione nella percezione di un terapeuta tendenzialmente neutrale ed oggettivo. Per questo era importante dimostrare al paziente che i suoi sentimenti e reazioni non avevano a che fare con la persona dell’analista ma derivavano da fantasie o esperienze precedenti. Le distorsioni transferali erano un modo per proteggersi dal prendere coscienza di certi desideri e farli entrare in contatto con il pensiero razionale e la realtà. Il miglioramento terapeutico era dovuto principalmente all’esperienza conscia di questi contenuti mentali – desideri, conflitti, ricordi. Concettualizzazioni successive hanno posto maggior enfasi sul ruolo del terapeuta nel determinare la natura del transfert del paziente. Il terapeuta veniva dunque considerato un osservatore partecipe dei pattern conflittuali del paziente, non solo il recipiente o il bersaglio dei suoi atteggiamenti emotivi trasportati direttamente dal passato. Questo cambiamento ha portato a formulare una serie di distinzioni sul transfert. È stato introdotto il termine transfert di difesa, per esempio, per riferirsi allo stile caratteriale del paziente, ai suoi modi abituali di condotta o di relazione o ad altre forme di adattamento che servono ad evitare o a negare reazioni di transfert. È stato per lo più accertato il fatto che , in particolare, queste forme di transfert fossero sempre presenti ed osservabili fin dall’inizio del trattamento. Gill (1954, 1982) ha distinto tra un transfert facilitante, che rappresenterebbe il transfert positivo irreprensibile freudiano e un transfert di resistenza. Secondo Gill, una definizione di transfert come distorsione di una relazione reale non riesce a rendere conto del transfert irreprensibile conscio e positivo – sovrapponibile al concetto di alleanza terapeutica. L’alleanza terapeutica è diventata un costrutto diffuso ed è
utile considerarla in relazione ai diversi modi di comprendere il transfert. Il costrutto dell’alleanza ha più di una definizione, ma può essere spiegato, in generale, come la misura in cui paziente e terapeuta lavorano in maniera collaborativa e formano un legame di fiducia. Più nello specifico, questo costrutto rappresenta un tentativo di tracciare una distinzione tra transfert e aspetti realistici della relazione come, per esempio, il grado di accordo sui compiti e sugli obiettivi del trattamento. Il concetto di alleanza sottolinea le determinanti cognitive ed attuali; un comportamento realistico e appropriato da parte del terapeuta è dato invece come scontato. Secondo Gill, il transfert positivo irreprensibile che Freud riteneva essere il contesto necessario per la cooperazione nel lavoro analitico (una definizione generale di alleanza terapeutica) non è qualcosa che deve essere favorito con particolari mezzi. Il terapeuta non deve comportarsi in un modo particolare al fine di creare un’alleanza. Sono le progressive chiarificazioni, interpretazione e comprensione delle reazioni di transfert in sé che aiuteranno a costruire un’alleanza di lavoro collaborativa. Successivamente il transfert è stato visto in senso ampio come risultato degli sforzi del paziente di realizzare i suoi desideri attuali: ricordare i desideri e le esperienze infantili è diventato meno fondamentale. L’obiettivo terapeutico era ancora indicato nel fare nuovamente esperienza di questi desideri attraverso le reazioni di transfert dirette al terapeuta, insieme al fatto di realizzare che esse sono determinate da qualcosa di pre-esistente all’interno del paziente. È stata posta così una forte enfasi sul fare esperienza di qualcosa di nuovo creato nell’interazione con il terapeuta, a cui sono ora diretti i desideri. È la capacità del terapeuta di astenersi dal rispondere o dal reagire alle aspettative transferali del paziente a contribuire al cambiamento terapeutico, dato che

esso promuove il riconoscimento degli aspetti di fantasia della relazione terapeutica. Il terapeuta che fornisce un’esperienza interpersonale nuova e migliore non è solo un oggetto nuovo, ma è diverso dagli oggetti frustranti e deludenti del passato del paziente. La posizione neutrale, non reattiva e tuttavia di interessamento indulgente del terapeuta fornisce lo sfondo per l’analisi del transfert. Consente inoltre di confrontare gli atteggiamenti del paziente verso la situazione reale con altri modi possibili di fare esperienza di quella stessa situazione e di considerare come
questi si colleghino tra loro. Il paziente, per esempio, ha l’opportunità di valutare se il terapeuta sia stato realmente provocatorio e abbia avuto un atteggiamento di condanna, o se invece i commenti del terapeuta possano essere visti sotto un’altra luce. Paziente e terapeuta esaminano insieme questa nuova esperienza che si forma attraverso la continua comprensione dell’interazione tra di loro. La visione del transfert come un’interpretazione in parte plausibile di alcuni aspetti del terapeuta o dell’interazione è stata inoltre influenzata dalla teoria delle relazioni oggettuali, che ha ridefinito il ruolo di desideri e conflitti della vita mentale. Desideri e difese sono visti come rappresentazioni interiorizzate del sé e dell’oggetto; sono queste a determinare la struttura della mente e della vita mentale inconscia. Il conflitto intrapsichico è determinato da due o più insiemi di rappresentazioni mentali, opposte o incompatibili, del sé e dell’altro governate da potenti disposizioni emotive. Durante il trattamento, il paziente esamina il terapeuta, consapevolmente e inconsapevolmente, rispetto a quelle caratteristiche che possono essere usate per supportare una visione del terapeuta come simile ad una rappresentazione che il paziente ha necessità di trovare nella realtà. In questo modo il paziente trasferisce aspetti intrapsichici del sé nel campo interpersonale. Sebbene il più delle volte le rappresentazioni di frustrazioni e delusioni siano vissute dal paziente come se fossero causate dagli altri (terapeuta incluso), queste sono anche rappresentazioni di aspetti del sé. La relazione non è una semplice ripetizione dei conflitti interni del paziente, ora esternalizzati ma è anche una risposta alla persona del terapeuta e del suo controtransfert. Negli approcci contemporanei l’interpretazione del transfert nel qui e ora è considerata di solito più efficace delle interpretazioni storiche di transfert, quelle cioè che collegano il transfert alle prime esperienze evolutive e formative. Pertanto il terapeuta dovrà sempre impegnarsi in un’attenta autoanalisi per distinguere l’aspetto ripetitivo del transfert che origina dal mondo intrapsichico e del paziente dai reali contributi che egli stesso fornisce all’interazione (Gabbard, 1996).


L'attività interpretativa
L’attività interpretativa di resistenze e difese, insieme all’analisi delle dinamiche transferali del paziente, si configura come il secondo pilastro del processo analitico - nonché come uno degli scopi principali della psicoterapia psicoanalitica. Molti pazienti hanno una capacità limitata di autoriflessione; difficoltà nell’autoriflessione e nell’autosservazione si associano spesso ad una gamma
ristretta di attività mentali – pensieri, sentimenti, fantasie. Sono molte le cose a cui non viene consentito un accesso alla consapevolezza e che, facendo affidamento su strategie difensive di vario tipo, lasciano spazio solo a una gamma ristretta di esperienze. Informazioni minacciose e altri contenuti mentali possono essere mantenuti inconsapevoli attraverso una varietà di processi difensivi, a loro volta al di fuori della consapevolezza del paziente: obiettivo della terapia psicoanalitica è rendere coscienti queste manovre difensive. Il terapeuta osserva, insieme al paziente, come e quando queste misure protettive sono attive, con l’obiettivo di promuovere sia l’autosservazione sia la comprensione di come vengono evitate la conoscenza di sé e l’esperienza di certi sentimenti e idee. L’osservazione ripetuta di questi processi permette di comprendere i motivi per cui il paziente fa affidamento su di essi e consente, infine, un controllo maggiore su procedure difensive prima utilizzate in maniera automatica. La diminuzione della necessità di fare affidamento su processi difensivi accresce a sua volta la capacità di autoriflessione e conoscenza di sé, una più efficace rappresentazione dell’esperienza in parole e pensieri e una maggiore integrazione di rappresentazioni di sé e dell’oggetto indifferenziate o disorganizzate. Dobbiamo osservare che mentre le difese (i meccanismi di difesa) si riferiscono ad un processo intrapsichico, la resistenza si riferisce all’interazione con il terapeuta e viene espressa nel transfert. Si potrebbe dire che la resistenza è la manifestazione interpersonale della difesa (Gill, 1982). Con le resistenze al trattamento il paziente cerca di mantenere lo status quo, di opporsi ai tentativi del terapeuta di produrre insight e cambiamento. Le resistenze al trattamento sono ubiquitarie come i fenomeni di transfert e possono assumere forme diverse, come l’arrivare tardi agli appuntamenti, il rifiuto di assumere farmaci, lo scordare consigli o interpretazioni, il silenzio nelle sedute di terapia, il focalizzarsi durante le sedute su materiale irrilevante o il dimenticarsi di pagare il conto della terapia. Tutte le forme di resistenza hanno in comune il tentativo di evitare sentimenti spiacevoli quali ira, colpa, odio, amore (se diretto verso un oggetto proibito
come il terapeuta), invidia, vergogna, dolore, ansia o varie combinazioni di questi sentimenti. La resistenza difende la malattia del paziente. La forza della resistenza è inoltre proporzionale alla forza dell’impulso sottostante e va considerata come un fenomeno che è parte del processo terapeutico. A dispetto della connotazione della resistenza come ostacolo che deve essere rimosso per portare avanti il trattamento, per molti pazienti comprendere la resistenza, in larga misura, è la terapia.
La psicoanalisi contemporanea può essere difficilmente concepita come un sistema teorico rigido e fondamentalmente deterministico ma come un sistema aperto, generatore di una pluralità di modelli, a partire dalla pratica clinica, dalla ricerca empirica e dal particolare incontro tra paziente e terapeuta connotato da una sua unicità. Restano, naturalmente, i punti cardine della teoria psicoanalitica, le sue "invarianti": il riconoscimento dell'esistenza dell'inconscio, il setting e la situazione analitica, il transfert, il controtransfert, l’analisi di resistenze e difese, ecc. Tutte queste variabili si pongono in relazione fra di loro costituendo il motore di un processo che avvalendosi dell’interpretazione – principale strumento utilizzato nei metodi di psicoterapia del profondo – tende alla promozione di una migliore condizione esistenziale del paziente.



Bibliografia
Etchegoyen R. H., 1986, I fondamenti della tecnica psicoanalitica, Roma, Astrolabio, 1990

Gabbard G. O. 2005 Psichiatria psicodinamica – Quarta e dizione - Milano, Raffaello Cortina Editore, 2007

Jones E. E. 2000 L’azione terapeutica. Una guida alla terapia psicoanalitica , Milano, Raffaello Cortina Editore , 2008

Lingiardi, V., Madeddu, F. 2002 I meccanismi di difesa. Teoria, valutazione, clinica –Milano: Raffaello Cortina Editore, 2013

Mc Williams N. 1994 La diagnosi psicoanalitica, Roma, Astrolabio, 1999

Meltzer D. Il processo psicoanalitico 1971, Roma, Armando Editore, 2010

White R. B. Gilliland R. M. 1975 I meccanismi di difesa, Roma, Astrolabio, 1977



#psicologia #psicoterapia #psicoanalisi #processoanalitico #difese #resistenze #cura #setting #interpretazione #transfert #controtransfert