Il disagio psichico come segnale di vita: la crisi del Falso Sè

L'identificazione con la maschera, la difficoltà ad essere se stessi e la perdita del senso profondo della propria identità, il disconoscimento delle proprie emozioni ed il tentativo di controllo assoluto su di esse, l'assenza di spontaneità e la mancanza di fiducia nei rapporti affettivi: di questi elementi - ed altri ancora - è costituito il falso Sé. L’autore che più di ogni altro ha colto le profonde implicazioni della problematica dell’autenticità è stato lo psicoanalista e pediatra inglese 
Donald W. Winnicott, al quale si deve lo sviluppo del concetto di falso Sé. Winnicott parte dalla constatazione semplice, ma non sempre evidente, che l’assenza di malattie non corrisponde necessariamente a uno stato di salute. Solo la capacità di essere creativi e la sensazione della propria autenticità danno all’individuo il sentimento che la vita vale la pena di essere vissuta. Da questo punto di vista un individuo che vive una crisi esistenziale può essere più sano di quello in cui l’apparente condizione di normalità è sostenuta da un falso Sé (Winnicott 1977).

Il Vero Sé
Per Winnicott il vero Sé origina dalla vita corporea ed è allo stesso tempo fisico e psichico. Esso corrisponde al gesto spontaneo (“è il vero Sé in azione”), all’idea personale ed è legato al processo primario (Winnicott 1960). Il vero Sé trasmette un senso di esistenza nel proprio corpo e permette di essere creativi, di sentirsi autentici, reali e presenti, di

provare piacere. Al contrario il falso Sé si costituirebbe durante lo sviluppo infantile come un’organizzazione difensiva della personalità che ha la funzione di proteggere, come un involucro, il vero Sé. Esso deriverebbe dalle insufficienze dell’ambiente infantile (in particolare della funzione materna) e costituirebbe una difesa estrema nei confronti della depressione, avvicinandosi, da questo punto di vista, al concetto kleiniano di difesa maniacale (Winnicott 1960, 1977). Una madre "sufficientemente buona", cioè sufficientemente “devota” al figlio, è in grado di percepire empaticamente le esigenze del neonato e di viverle come proprie rispondendo adeguatamente. Il modo in cui il bambino è accudito dal punto di vista fisico (handling) assieme all’atteggiamento corporeo che la madre assume quando lo tiene in braccio (holding) e alla sua capacità di presentargli gradatamente la realtà del mondo esterno (object presenting) favoriscono lo sviluppo di un Sé allo stesso tempo psichico e somatico, cioè di un senso di esistenza nel proprio corpo, processo che Winnicott descrive in termini di “integrazione psicosomatica”. In questo modo è favorita, all’inizio, un’illusione infantile di onnipotenza e successivamente una graduale disillusione. Quando l’ambiente non si rivela adeguato a svolgere questa funzione e manca un adulto capace di adattarsi ai bisogni del bambino, l’esperienza corporea non risulterà sufficientemente integrata nel Sé e l’individuo diventerà incapace di autentiche esperienze emotive.
"Più comunemente, osserviamo che il funzionamento mentale diventa una cosa in sé, sostituendo praticamente la buona madre e rendendo questa non più necessaria. Clinicamente, ciò può andare di pari passo con una dipendenza dalla madre vera e con una falsa crescita personale fondata sull’ubbidienza. Si tratta di una delle situazioni più penose, soprattutto perché la psiche è “sedotta” dall’intelletto rompendo l’intimo rapporto che essa ha, all’origine, con il soma" (Winnicott, 1949). Sul piano soggettivo il falso Sé è totalmente inconscio e può corrispondere ad una vita assolutamente normale, anche se accompagnata da sensazioni di irrealtà, di futilità e da sentimenti di vuoto e di noia. Bisogna chiarire, comunque, che in ogni individuo coesistono aspetti di vero e falso Sé. Nella condizione normale il vero sé si esprime adeguatamente consentendo la spontaneità, la creatività e la soddisfazione personale e fornendo le risorse per affrontare le frustrazioni e le esperienze di cambiamento.

Relazioni tra vero e falso Sé
Un aspetto di falso sé, dal canto suo, è indispensabile, in quanto sostiene nel confronto con l’ambiente, costituendo una base per un comportamento socialmente accettabile (Winnicott 1960). Ovviamente esiste una serie di possibilità

intermedie che vanno dall’organizzazione di personalità
normale, in cui li falso Sé protegge il vero Sé a quella in cui il falso Sé annulla il vero Sé. Winnicott suggerisce cinque possibili “stati” nelle relazioni tra vero e falso Sé:

Stato patologico: il falso Sé pretende di costituirsi come reale, come se fosse lui il vero sé. Il falso sé ha invaso l'intera persona, tuttavia l'individuo non riesce a essere efficace nei rapporti personali profondi e in tutte le situazioni in cui sia necessaria una persona intera.

Stato di confine: il falso Sé schiaccia il vero Sé in funzione difensiva; “Il vero Sé è però riconosciuto come potenziale e gli è permessa una vita segreta” (Winnicott 1960). In questo caso il disagio o la malattia possono essere considerati organizzazioni aventi un fine positivo: sono volti infatti alla conservazione dell'individuo malgrado la presenza di condizioni ambientali anormali. A questo livello di strutturazione del falso sé, si può riconoscere il vero sé attraverso il disagio o la malattia (sintomo come segnale di vita).
Stato della sofferenza: il falso sé si struttura in modo tale da cercare di creare le condizioni migliori per fare emergere il vero sé. “Se queste condizioni non possono essere trovate allora si rende necessaria la riorganizzazione di una nuova difesa contro lo sfruttamento del vero Sé; e se l'efficacia di quest'ultima è dubbia, allora la conseguenza clinica è il suicidio”. In questo contesto “il suicidio è finalizzato alla distruzione del sé totale compiuta al fine di evitare l'annientamento del vero Sé” (Winnicott, 1960).

Stato di fragilità: il Falso Sé si forma sulla base di identificazioni che hanno carattere imitativo o sono poco unite da un Io sufficientemente sano e forte. Non è presente e attivo un Io in grado di attuare una sintesi personale delle molteplici identificazioni che ciascuno cerca di operare nel corso dello sviluppo e che sono finalizzate alla costruzione del senso di identità. Il risultato è un continuo cercare di tenere dietro alla vita, ma in modo affannoso, senza la possibilità di sentirsi, almeno ogni tanto, bene con sé stessi.

Stato di salute: il falso Sé nel campo della salute costituisce ciò che chiamiamo atteggiamento sociale, qualcosa che è adattabile e flessibile nelle diverse circostanze.



Manifestazioni cliniche 
Durante l’infanzia gli individui caratterizzati da una patologia Falso Sé, sono stati frequentemente dei bambini bravi e compiacenti, che facevano quello che si diceva loro senza dare problemi. Per questo erano molto apprezzati da genitori e insegnanti che li portavano come esempio, parlandone come dei “piccoli adulti”. In realtà, la loro maturità è solo apparente, in quanto, essendo incapaci di veri e propri processi di identificazione, essi imitano i grandi seguendo in

modo passivo e compiacente le loro regole. Il falso Sé, inoltre, limiterà l’individuo nella propria capacità di vivere relazioni affettive e di sviluppare interessi personali e autentici e si rivelerà inadeguato nei momenti della vita in cui, da adulto, dovrà affrontare impegni e difficoltà che richiedono maggiore maturità ed equilibrio. In questi momenti critici è frequente che si manifestino disturbi dell’adattamento sociale accompagnati da scompensi psichici o fisici anche gravi. Si possono ad esempio manifestare problemi nei rapporti con la famiglia (gravi conflitti, fughe da casa, separazioni) oppure sull'ambiente di lavoro. E’ frequente, in questo secondo caso, che si sviluppi una condizione di burn-out lavorativo accompagnato dalle sue manifestazioni più tipiche (perdita di interessestanchezzaansiainsonniasintomi psicofisiologici) che possono portare all'abbandono del posto di lavoro o al licenziamento. E’ comune in questi momenti critici che il soggetto ricerchi momenti di isolamento, nei quali tenta di alleviare la tensione psichica e la disperazione sottraendosi ai doveri sociali e alle aspettative degli altri. Per le stesse ragioni può ricorrere all'assunzione di alcool (spesso consumato in solitudine), all'uso compulsivo di farmaci ansiolitici o alle droghe. Altrettanto frequente è che si manifesti uno scompenso psicosomatico sotto forma di una malattia a sintomatologia psichica (depressioneattacchi di panicocrisi psicotiche) o somatica: malattie cardiovascolari (ipertensione, infarto), patologie endocrine (soprattutto tiroidee), disturbi gastrointestinali (dispepsia, ulcera, colon irritabile) ecc. Spesso sono presenti entrambe le condizioni. Nei casi più estremi queste persone ricorrono al suicidio, che, come lo stesso Winnicott ha sottolineato (1960), può rappresentare un modo di dare al corpo una morte che si è già verificata nella psiche. Più spesso questa tendenza autodistruttiva si manifesta sotto forma di equivalenti suicidari (esposizione ingiustificata a pericoli, ripetuti incidenti, traumi, autolesionismo) oppure, come si è detto, con lo sviluppo di una grave forma di alcoolismo o con la tossicodipendenza

La crisi del Falso Sè: il disagio psichico come segnale di autenticità
In alcuni casi, quando la crisi psicologica è già in atto, la persona può ricercare aiuto da un amico, un familiare, un medico o uno psicoterapeuta. In questi casi la struttura del falso Sé è già crollata (Winnicott 1959) e la persona comincia

a divenire drammaticamente consapevole dell’inadeguatezza
dell’immagine che è solito presentare agli altri: emerge sovente un quadro depressivo, esito di una breccia della corazza difensiva a sostegno del falso Sé e del contatto con una dimensione più autentica di sé, vulnerabile e carica di emotività, disconosciuta e relegata sino ad allora ad una vita occulta.


Dott. Nicola Walter Strisciulli




Bibliografia

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